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Marzo 2, 2021 wp_2375508

La Brexit fa crollare l’export di cibo italiano nel Regno Unito: -38% a gennaio

La Brexit fa crollare l’export di cibo italiano nel Regno Unito: -38% a gennaio

LONDRA – Ogni sabato mattina North End Road, zona centrale di Londra ma ormai diventata multi-etnica, costellata di panettieri libanesi e sarti cinesi, si affolla di gente. C’è il mercatino settimanale di frutta e verdura. La particolarità è che tutte le bancarelle funzionano allo stesso modo: si compra a quantità fisse e prezzo fisso. Sopra i banconi ci sono ciotole tutte uguali, ognuna contiene circa 1 kg di frutta o verdura, e ognuna costa 1 sterlina: non importa se siano avocado egiziani, kiwi calabresi o mele del Kent.

L’impatto della Brexit
Dal giorno di Capodanno, però, una tegola è caduta sui clienti del mercatino: massaie, famiglie. E pensionati, che vanno a fare la spesa low cost, hanno trovato ad attenderli un’amara sorpresa: il pezzo di cartone con il prezzo di ogni singolo cestino, rigorosamente scritto a mano, segnava 1,5 sterline. Se 50 pence in fondo sono spiccioli e il costo rimane imbattibile rispetto a qualsiasi supermercato, è comunque un rincaro del 50%. Al mercatino di North End Road di Londra c’è stata la fiammata di inflazione da Brexit più grossa d’Inghilterra. Tutta colpa della Brexit: sopra le bancarelle sono quasi tutti prodotti importati. E dal 1 gennaio l’assortimento e la quantità si sono ridotte. Una buona parte di quella frutta e verdura arriva anche dalI’Italia. Il Belpaese è uno dei principali fornitori alimentari del Regno Unito: dai mercatini ai grandi supermercati da Tesco a Sainsbury’s. Le difficoltà, attese e previste, della Brexit, con i controlli alla frontiera e i rallentamenti, per camion e treni, hanno fatto crollare l’export alimentare italiano: -38,3%. Il rincaro della spesa è la conseguenza della difficoltà delle merci importate ad arrivare nel Regno Unito. Il dato è stato calcolato dalla Coldiretti sulla base dei dati Istat relativi al commercio estero nel mese di gennaio 2021, il primo dopo l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea.

Agli inglesi piace mangiare italiano
L’alimentare è il primo settore di export del Made in Italy in Inghilterra, come volumi, anche se in termini di controvalore è prima la meccanica e l’industria. Ma proprio perché è la categoria più numerosa, è anche quella che paga il conto più salato alla Brexit. L’addio del paese alla Ue penalizza anche le esportazioni UK: le importazioni in Italia da Oltremanica sono affondate addirittura del 70%. “Le difficoltà negli scambi commerciali con la Gran Bretagna – lancia l’allarme Coldiretti – mettono in pericolo 3,4 miliardi di esportazioni agroalimentari”. Non sono poca cosa perché il Regno Unito è uno dei principali compratori di cibo italiano: è il quarto partner commerciale dopo Germania, Francia e Stati Uniti. In testa ai gusti degli inglesi c’è il vino, con il prosecco leader indiscusso; al secondo posto tra i prodotti italiani più venduti in Gran Bretagna ci sono le passare di pomodoro e la pasta, a seguire il formaggio, con Grana Padano e Parmigiano Reggiano. L’alimentare è la voce dell’export più perché i problemi alle frontiere si trasformano automaticamente in ritardi, e i ritardi sono il peggior scenario per i prodotti deperibili. La la burocrazia porta anche maggiori costi e più scartoffie per le aziende: un aggravio ulteriore per il Made in Italy. Il flusso di export alimentare italiano è sparpagliato tra migliaia di piccoli produttori, aziende dove il peso degli extra costi è maggiore. Paesi dove l’alimentare si concentra in grandi gruppi hanno strutture interne in grado di gestire l’extra aggravio. Il nanismo dell’economia italiana non aiuta.

FONTE: IL SOLE 24 ORE

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